Reggio, l’analisi di Repubblica è impietosa: ‘Lo Stato si sta sbriciolando nel silenzio’

In un lungo articolo il noto quotidiano analizza la situazione politico-economico-sociale e sentenzia 'Reggio, città sospesa'

Reggio Calabria (7)

“A Reggio Calabria il vento continua a cambiare, ma da mesi la città vive sprofondata in una calmeria di Scirocco che sembra non avere fine, mentre uno dopo l’altro se ne sbriciolano i pilastri”.

È con un riferimento al mare ed al vento, due dei simboli per eccellenza della città dello Stretto che La Repubblica apre un editoriale dal sapore dolceamaro. Un’analisi attenta, da vero osservatore che non tralascia neanche uno dei tanti colpi che la città è stata costretta ad incassare mese dopo mese, in particolar modo nell’ultimo periodo.

La città sospesa

Si parte dalla sospensione del sindaco Falcomatà e da buona parte della sua prima giunta per effetto della Legge Severino in seguito alle condanne nel processo Miramare, si prosegue poi con la bufera che ha investito l’Università Mediterranea, ora governata da un reggente in attesa di eleggere il prossimo Rettore.

Oltre le novità ci sono anche quei problemi ostici, di cui i reggini, ormai, non sperano neanche più di liberarsi, tanto “ci hanno fatto il callo”.

Basti pensare all’Azienda Sanitaria Provinciale, commissariata per ‘Ndrangheta e che paga le conseguenze di quasi 10 anni di contabilità “orale”, con un debito stimato in circa 500 milioni di euro. E che l’aeroporto Tito Minniti, pur essendo aperto da decenni, attende ancora di “decollare” e farlo sul serio. La politica di destra e sinistra, negli anni, si è fatta, più volte, portatrice di questa promessa elettorale, lasciando però lo scalo in balia degli eventi.

“La città – si legge su Repubblica – rimane lontana da tutto, con un’autostrada che ci arriva per finta – per finire la “Salerno-Reggio Calabria” nei tempi stabiliti, il governo di Matteo Renzi ha deciso di farla fermare a Villa San Giovanni, declassando l’ultimo tratto a raccordo diventato rosario infinito di lavori”.

Uno spiraglio di speranza, invece, si è aperto per la Reggina che, con l’arresto dell’ex presidente Luca Gallo, ha rischiato di scomparire.

“Sospesa” è anche la compagnia di navigazione che si occupa, in regime di monopolio, del traghettamento nello Stretto. La Caronte & Tourist, infatti, è in amministrazione giudiziaria dal 2021.

Nel limbo anche il “nuovo” Palazzo di giustizia, il cui cantiere è in bella vista da quasi 20 anni.

Non tutto è ‘ndrangheta, ma…

“Non tutto è ‘Ndragheta a Reggio Calabria, ma molto lo è. L’indotto mafioso – felice definizione del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo per indicare quel tessuto connettivo che non è fatto di clan, ma di gente che li tollera, ne introietta le logiche, finisce per rassegnarsi alle regole – innerva buona parte del tessuto sociale, imprenditoriale, culturale della città”.

C’è una ricostruzione attenta dei fatti più noti della cronaca di Reggio Calabria. Dall’inchiesta Gotha alla sospensione della Procura Antimafia, con Giovanni Bombardieri che dovrà sottoporsi nuovamente all’esame del Csm.

Tutto questo mentre il procuratore aggiunto Lombardo si occupa dei clan del mandamento jonico – le famiglie di San Luca, Platì, Africo, pionieri del narcotraffico.

“Nella capitale della ‘Ndrangheta manca tutto. Gli spazi, le aule, il personale amministrativo, i pm, i giudici”.

Repubblica si sofferma anche sul “silenzio della Procura”:

“Da sempre allergica ai riflettori, con l’introduzione delle nuove norme che regolano i rapporti fra magistratura e stampa ha smesso di parlare alla città, limitandosi alla sporadica partecipazione a qualche incontro o evento pubblico”.

“La salute è considerata un lusso”

C’è anche Arghillà nel racconto della città sospesa tra un’infinità di “mancanze”. Il quartiere della periferia nord di Reggio è il manifesto di un degrado a cui i residenti, nonostante tutto, non vogliono rassegnarsi.

Se si guarda giù dalle finestre si vedono solo cataste di spazzatura, auto bruciate o smontate, degrado. Non c’è una scuola ad Arghillà Nord, neanche una palestra, una biblioteca, un parchetto. Anche i negozi si contano sulle dita di una mano.

“Non mi era mai capitato. Qui la salute è considerata un lusso”
dice Lino Caserta, medico e fondatore dell’ambulatorio solidale Ace.

Nella provincia in cui l’attesa media per un’ecografia della tiroide è di 151 giorni e quella per un ecocardiogramma di oltre 130, la struttura è nata per un’esigenza molto semplice: fornire servizi essenziali che il pubblico non dà. E si basa su un principio altrettanto elementare: chi può paga, chi no viene assistito comunque. Ma non si limita a tappare le falle di un sistema sanitario sottodimensionato rispetto all’utenza naturale.

Negli anni l’Ace è diventato centro di ricerca epidemiologica, realtà che ha permesso a giovani medici, infermieri, amministrativi di non andare via alla ricerca di lavoro, fucina di una nuova concezione della salute. Che va oltre la soluzione della patologia specifica. È tutela del benessere, che passa ovviamente dalla prevenzione ma anche da un’ecologia di vita che ha a che fare con lo spazio urbano, le condizioni abitative, la possibilità di accedere a servizi che vanno dalla cultura allo sport. Ecco perché sempre Ace ha messo in piedi un parco della conoscenza, dove tutto si recupera, persino l’acqua piovana, necessaria per ripristinare antichi vigneti e orti biologici. Ecco perché Ace tanto ha fatto pressione sul Comune da riuscire a farsi concedere gli spazi necessari per aprire un ambulatorio anche ad Arghillà.

“Ma non mi aspettavo fosse così difficile”, ammette il dottor Caserta. Da qualche tempo c’è qualche ragazzina che usufruisce del servizio di assistenza psicologica, qualcuno si inizia a rivolgere a noi per qualche visita, ma ancora è complicato”. È difficile far passare l’idea che tutto sia gratuito, che la salute sia un diritto, in un quartiere in cui lo Stato ha solo la faccia dei “bagarò”, i poliziotti che si presentano ciclicamente per retate e posti di blocco.

“Abbiamo visto decine di adolescenti senza neanche le vaccinazioni di base – registra Caserta – E non per ragioni ideologiche, ma perché le famiglie non sanno di averne diritto o non se ne curano”.

La Repubblica del favore

“Nella repubblica del favore c’è spazio per tutti perché i confini nella calmeria di Scirocco sfumano.

Roma è lontana. A volte è evocata come futura panacea di tutti i mali, altre come capo espiatorio. I ministri passano – solo negli ultimi sei mesi, Luciana Lamorgese e Marta Cartabia – promettono, vanno via. La cappa rimane.

Leggenda vuole che lo Scirocco sia un vento pericoloso, che fa impazzire alcuni, che provoca ribellioni. Ma a Reggio Calabria c’è ancora chi aspetta che soffi impetuoso. Che spazzi via la calmeria”.