Rifiuti, affidamento a Castore e clausola sociale: l’Anac smonta il disegno del Comune

L’amministrazione comunale ha ricevuto il parere dell’Autorità a metà marzo. Ora servono scelte definitive

Tanto tuonò che piovve. E piove sul bagnato per l’amministrazione comunale guidata da Giuseppe Falcomatà che aveva puntato forte, negli ultimi due anni, sulla internalizzazione del servizio di raccolta rifiuti, subordinando il post Avr al parere dell’Anac (Autorità nazionale anti corruzione) rispetto alla possibilità di un affidamento diretto ad una società in house e di usufruire della clausola sociale per il passaggio del personale dall’attuale al nuovo gestore, individuato per l’appunto nella società in house Castore.

Il parere dell’Anac è arrivato a metà marzo – si deve ad Angela Marcianò e Filomena Iatì la sua pubblicizzazione – e non va in direzione di quanto prospettato da Palazzo San Giorgio che ora dovrà tenere conto del parere e scegliere il da farsi in maniera definitiva, magari spiegandolo alla città.

L’obiettivo strategico

Giova ricordare quale era l’orientamento dell’amministrazione comunale che ha inserito la questione ambientale e quindi dei rifiuti negli obiettivi strategici dell’ente, inserendolo a pieno titolo nel Documento unico di programmazione (Dup) che è parte integrante del Bilancio che da qui a poco si dovrà approvare.

D’altra parte l’amministrazione ha sempre parlato di un affidamento dei servizi di raccolta, trasporto, trattamento e smaltimento dei rifiuti mediante gara ad evidenza pubblica per la scelta di un operatore privato, per la durata di 4 anni salva risoluzione anticipata, nelle more dello studio di fattibilità e di convenienza per l’internalizzazione dei medesimi servizi del ciclo dei rifiuti alla società in house Castore SPL S.r.l., anche in vista della sua possibile individuazione come gestore d’ambito a seguito dell’ingresso nel capitale della Società da parte della Città Metropolitana di Reggio Calabria.

L’avvio delle procedure propedeutiche all’internalizzazione del servizio (approvazione studio di fattibilità, piano industriale, stima del costo del servizio, attestazione convenienza all’internalizzazione, ecc.), con la previsione dell’acquisto di mezzi e macchinari necessari e dell’assunzione del personale necessario per l’espletamento del servizio, rappresentavano la strada da seguire. In attesa del parere dell’Anac.

I vincoli del parere Anac

Sono sostanzialmente due le questioni sottoposte all’attenzione dell’Autorità che si è espressa premettendo che esula dalla sfera di competenza dell’Autorità il rilascio di pareri preventivi in ordine ad atti e provvedimenti delle stazioni appaltanti, nonché alla stipula di contratti d’appalto o di concessione, fatto salvo l’esercizio dell’attività di vigilanza collaborativa in materia di contratti pubblici ai sensi del Regolamento del 28 giugno 2017.

Poi in 3 pagine e mezza di relazione chiarisce che l’affidamento diretto di un servizio pubblico in favore di una società in house è possibile solo ove ricorrano i presupposti previsti dalla normativa vigente (Codice dei contratti pubblici e Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) le cui disposizioni, pienamente compatibili con la normativa europea, necessitano di una lettura congiunta per una loro corretta applicazione da parte delle stazioni appaltanti.

L’affidamento diretto

L’articolo 192 del Codice stabilisce, al comma 2, che “ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.

Nell’affidamento in house, pertanto, ove ricorrano i presupposti indicati dalle norme citate, da interpretarsi con rigore – si legge nel parere – non trova applicazione la disciplina dettata dal Codice per l’affidamento di appalti pubblici, come chiaramente disposto dall’art. 5, comma 1,  secondo il quale detto affidamento “non rientra nell’ambito di applicazione del presente codice quando sono soddisfatte tutte … le condizioni(. . .}» indicate dalla norma. Al contrario, ove la società in house proceda all’acquisto di beni e servizi necessari per lo svolgimento dei compiti e delle funzioni cui è preposta, quale amministrazione aggiudicatrice (art. 3, comma 1, lett. d} del d.lgs. 50/2016), la stessa sarà tenuta all’applicazione del Codice”.

La clausola sociale

In relazione all’applicabilità dell’art. 50 del d.lgs. 50/2016 (Clausole sociale dei bandi di gara e degli avvisi) nell’ambito degli affidamenti in house, l’Anac richiama preliminarmente la disposizione citata ai sensi della quale

“Per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo S 1 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 5O per cento dell’importo totale del contratto”.

L’Anac cita tutta la giurisprudenza per la questione in esame chiarendo che il caso dell’affidamento in house, non si assiste ad un affidamento (appalto o concessione) ad un operatore economico di un contratto pubblico, ma si tratta di una forma di “autoproduzione” o, comunque, di erogazione di servizi pubblici “direttamente” ad opera dell’amministrazione, attraverso strumenti “propri”. Tanto che «l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa» (così Cons. Stato, Ad. plen., n. 1 /08, cit.).

L’Anac poi cita anche la Corte dei conti che, sulla questione, ha aggiunto che sussiste per le società a partecipazione pubblica (nel caso di specie società in house) l’obbligo del rispetto del principio generale dell’evidenza pubblica nel reclutamento del personale, avuto riguardo al progressivo ampliamento agli organismi strumentali della P.A. delle regole assunzionali previste per quest’ultima. Inoltre, «come si evince dalla sentenza della Corte costituzionale n. 68/2011, il ricorso a clausole sociali non può essere utilizzato come strumento per eludere il rispetto dei principi dell’evidenza pubblica previsti in materia di assunzioni da parte delle società a partecipazione pubblica, che trovano diretto fondamento nell’art. 97 Cast.»