Mala pigna - Professionisti asserviti e rifiuti interrati: piombo 59 volte sopra il consentito

La filiera dei rifiuti partiva da Gioia Tauro e arrivava fino al Nord Italia. Come funzionava il sistema scoperchiato dall'operazione Mala pigna

Rifiuti speciali, più che pericolosi, venivano interrati nel suolo, anche sotto terreni agricoli. È così che la ‘ndrangheta gestiva il traffico dei rifiuti ferrosi in Calabria. Dall’odierna operazione dei Carabinieri Forestali, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, è emerso il modus operandi di alcuni esponenti delle cosche reggine che, attraverso il coinvolgimento di diversi professionisti, riuscivano a gestire il traffico illecito di rifiuti generando un disastro ambientale di immani proporzioni.

I rifiuti interrati

La filiera dei rifiuti partiva da Gioia Tauro e arrivava fino al Nord Italia. Ma come è possibile che nessuno si sia accorto di nulla? A spiegarlo, durante la conferenza stampa presso il Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria è stato il Gen. Marzo:

“L’interramento di rifiuti avveniva grazie all’ausilio di alcune gru che operavano in determinate porzioni di terreno. Quest’ultimo veniva “mescolato” insieme a rifiuti ferrosi. Una volta completata l’opera di rimescolamento, veniva fatto arrivare un camion, con altra terra, per appianare il tutto e renderlo “invisibile” all’occhio esterno”.

Alcuni dei terreni in esame sono risultati gravemente contaminati da sostanze altamente nocive con valori che in alcuni casi superavano di 1200 % il valore consentito. Gli idrocarburi erano al 4200% superiori al consentito, lo zinco 7 volte superiore al limite consentito, il rame 12 volte e il piombo 59 volte superiore al limite consentito.

I professionisti complici della ‘ndrangheta

I conti ancora, però, non tornano. Basti pensare che una delle società interessate dai provvedimenti dell’operazione Mala Pigna si trovava già sotto amministrazione giudiziaria. Come spiegare allora il contributo che, quest’ultima, dava alla cosca Piromalli?

“Ci sono delle conversazioni – hanno spiegato Marzo e Bombardieri – in cui, di fronte al tentativo di dimostrare l’inquinamento di alcune porzioni di terra, si metteva in moto una macchina che consentiva di tenere l’emergenza al minimo”.

“Il prelievo lo devono fare in superficie, non troppo in profondità” si ascolta in alcune intercettazioni. Non è, dunque, solo l’ex senatore Pittelli ad essere finito nell’occhio del ciclone per il traffico illecito di rifiuti smantellato dalla Dda reggina.

“Vi sono altri professionisti come l’avvocato Calabretta e la commercialista Debora Cannizzaro che, a seguito delle richieste dell’agenzia dei beni confiscati, ha assistito alla falsificazione dei documenti”.

700 mila euro di prelievi in un anno

La società di trattamento rifiuti già confiscata, infatti, risulta ugualmente “a disposizione di Delfino”. Basti pensare che, in un anno, sono stati accertati prelievi per oltre 700 mila euro, tutto all’insaputa dell’agenzia dei beni confiscati.

“I soldi – ha spiegato Marzo – venivano consegnati a Delfino che, attraverso la segretaria, chiamava per questo o quel prelievo, un giorno da 3 mila, qualche volta di meno. Ciò dimostra un asservimento totale anche da parte dei professionisti coinvolti nelle vicende criminose.

C’è una parte – sottolinea il Generale – in cui lo stesso Delfino dice che uno dei due amministratori giudiziari si è preso la sua parte e quindi lo accusa di scorrettezza nei suoi confronti. Pur non essendo destinatari di misure cautelari, vi sono diversi soggetti che hanno prestato attività professionali di parte che sono oggetto dell’indagine per aver modificato la situazione in favore di Delfino”.