L'8 settembre '43 da raccontare ai ragazzi calabresi

Non si può non ricordare l'otto settembre del 194

Non si può non ricordare l’otto settembre del 1943, per quello che è stato e per quello che ha significato: da un lato la scelta della monarchia e della nomenclatura politica e militare di procurare a sé ed agli italiani una via di uscita e di salvezza rispetto all’incombente baratro determinato dal nazifascismo, dall’altro l’incapacità di affrontare la transizione, imposta dal capovolgimento di alleanze, con coraggio e con responsabilità.

Non si può non raccontare l’otto settembre ai ragazzi ed alle ragazze delle scuole perché una delle pagine più vergognose e più nere della storia d’Italia deve essere conosciuta e compresa sino in fondo, per poterne ricavare gli elementi ed i dati di conoscenza, che consentano di esprimere la più dura condanna delle nomenclature che, preoccupate fondamentalmente della “loro” salvezza, non tennero in conto alcuno la vita di milioni di donne e di uomini esposti alle violenze ed ai rischi di morte.

Non si può dimenticare Cefalonia, non si può dimenticare lo “sbandamento” di milioni di cittadini, militari e non.

Non si può non ricordare la strage di Rizziconi del 6 settembre 1943, le 17 vittime ed i 56 feriti (3 giorni dopo l’Armistizio firmato nei pressi di Cassibile), determinata dalla decisione del Comandante delle truppe naziste in ritirata verso il Nord di dirigere i micidiali proiettili dei cannoni contro l’abitato di un paese della nazione formalmente alleata, senza alcuna reazione o protesta da parte della nomenclatura fascista.

Non si può, proprio oggi, otto settembre, soprattutto in Calabria, non ricordare i cinque giovani militari che l’8 settembre 1943 furono fucilati presso il muro di cinta del cimitero di Acquappesa per ordine del Generale del Regio Esercito Italiano Luigi Chatrian, perché ritenuti (e condannati, senza processo alcuno, alla pena di morte) “rei di diserzione”.  L’esecuzione avvenne dopo la diffusione per radio dell’armistizio, letto nella serata dell’8 settembre dal generale Pietro Badoglio. L’azione punitiva verso i cinque militari non aveva più senso alcuno, ma il “loro” Comandante Chatrian decise, senza rispetto dei “codici di guerra”, che fosse necessario dare un esempio.
Le cinque vittime del feroce ed illegittimo ordine di fucilazione del generale Chatrian furono: MICHELE BURRELLI, 35 anni, di Sinopoli,  SALVATORE DE GIORGIO,35 anni, di Cittanova, SAVERIO FORGIONE, 32 anni, di Sant’Eufemia d’Aspromonte, FRANCESCO ROVERE, 35 anni, di Polistena , e FRANCESCO TRIMARCHI, 35 anni, di Cinquefrondi.

I loro resti mortali sono tumulati nel Sacrario Militare di Condera di Reggio Calabria.

Dopo alcuni anni la Procura del Tribunale Militare di Napoli aprì un fascicolo per “fucilazione arbitraria” contro il Generale Chatrian, ma il procedimento si concluse senza alcuna conseguenza nei confronti dello stesso, che qualche anno dopo fece addirittura carriera militare e politica, al punto da essere insignito del titolo di “cavaliere di Gran Croce per lunghi e segnalati servizi nella carriera militare” (servizi comprensivi di ordini di fucilazione).

I 5 giovani militari calabresi attendono ancora che qualcuno renda loro “giustizia”. In parte ha reso loro giustizia il ricercatore dell’ ICSAIC (Istituto Calabrese per la Storia dell’ Antifascismo e dell’Italia Contemporanea) Antonio Orlando, che ha raccontato la loro drammatica vicenda nel recente convegno tenuto il 6 settembre a Rizziconi dall’ANPI di Reggio Calabria.