Dramma Covid - Paola, infermiera reggina all'Umberto I: 'A fine turno, mi chiedo se ritroverò i pazienti'

Il racconto di una giovanissima conterranea, costretta a lasciare Reggio per combattere la pandemia al Policlinico Gemelli di Roma. "Ultimo concorso in Calabria due anni fa: così son dovuta andar via"

Una guerra ospedaliera. La possiamo definire così, semplicemente, la lotta al covid-19. Una malattia che ha dilaniato le abitudini e le vite dei cittadini di tutto il mondo. E ha costretto tutto il mondo medico ad uno spiegamento di forze senza precedenti. Fra i molti medici e infermieri chiamati a combattere la pandemia, in tanti sono giovani, giovanissimi. E, spesso, costretti a migrare, per rispondere ad una chiamata d’urgenza, spesso la prima della propria carriera, come ad esempio Paola Monty, 23enne reggina impegnata nel reparto di Terapia Intensiva Covid del Policlinico Umberto I di Roma.

Il racconto di Paola, infermiera di Terapia Intensiva Covid

Ho partecipato al concorso per l’assunzione al Sant’Andrea lo scorso anno, entrando in graduatoria. Mi aspettavo d’esser chiamata nel giro di due-tre anni ma, invece, a causa dell’emergenza e dell’apertura di diversi reparti covid, hanno accelerato le assunzioni. Lavoravo a Scilla, in una struttura per anziani ed in una settimana mi sono trovata anche io impegnata nella battaglia contro il virus.

Una situazione non facile, per tanti motivi, come Paola ci spiega.

Sono arrivata a Roma il 5 novembre, il giorno dopo la nomina della Calabria a zona rossa. Non è stato facile e la chiusura regionale non ha certo agevolato la situazione. Mi hanno assegnato al reparto di terapia intensiva covid, in uno dei tanti reparti trasformati per questa guerra medica. Siamo in tanti ad esser arrivati da poco: l’impatto devo dire che non sia stato facile, ma fortunatamente fra noi è nato subito quel senso di squadra che, in una situazione come quella che stiamo vivendo, ci consente di andare avanti. Siamo in molti, peraltro, a venire dalla Calabria, fra i nuovi immessi.

In molti, da fuori si chiedono come sia vivere ma soprattutto lavorare in un reparto di terapia intensiva covid, in questo momento.

Lavoriamo su tre tipologie di turni: la mattina, dalle 7 alle 13:30, il pomeriggio, dalle 13:30 alle 20 e la notte, dalle 20 alle 7 del mattino. È dura, anche in virtù delle tute protettive che dobbiamo indossare: arriviamo mezz’ora prima del turno per vestirci, e stiamo tutto il tempo senza la possibilità di rifiatare. È tosta, però andiamo avanti.

“A fine turno, mi chiedo se ritroverò i pazienti”

Spesso, per descrivere la lotta al covid, vengono utilizzati i numeri, freddi, dei contagi, dei decessi. Ma la realtà della pandemia è anche, e forse solo, una realtà di lotta umana contro un virus spietato.

Il primo giorno, il 12 novembre, nel mio reparto, vi erano solo due pazienti, uno di 85 anni ed uno di 37. Mi aspettavo di trovare quella tipologia di degente, ma, pur non conoscendo chi fossero, sono rimasta colpita. Più che altro non mi aspettavo di trovarci una persona così giovane. Col passare dei giorni sono arrivati nuovi malati, c’è un ricambio continuo. E purtroppo ci sono delle vittime. Da quando sto qui, sono già due quelli che non ce l’hanno fatta. Fa male al cuore, anche al cambio del turno, andar via e non sapere se ed in che condizioni rivedremo chi stiamo lasciando.

Non solo cure mediche, dunque, ma un ruolo anche psicologico.

Siamo le uniche persone che vedono, ogni giorno. Cerchiamo di dargli anche un conforto. L’altro giorno uno dei pazienti mi ha riconosciuta nonostante indossassi il casco, mi ha molto colpito. Ci sentiamo responsabili, ci sentiamo indispensabili per queste persone che soffrono. È questo quello che fa passare tutto in secondo piano.

Migrazione “forzata” dei giovani calabresi

Paola, nata e formatasi a Reggio, in Calabria, ha dovuto emigrare per lavorare, nonostante, in questo momento, nel territorio regionale ci sia un gran bisogno non solo di strutture ma anche di personale. Perchè?

Non conosco le motivazioni, onestamente, ma l’ultimo concorso uscito in regione è stato bandito circa due anni fa, l’anno prima che mi laureassi. Purtroppo, quindi, ho dovuto optare per una soluzione diversa. Finalmente, però, si iniziano a evidenziare questa tipologia di problematiche.

Un messaggio ai negazionisti?

Credo che ci sia molta ignoranza, purtroppo. La gente non sa, non vede, non vive a pieno questo momento. È un virus che non guarda in faccia nessuno, che colpisce tutti, anche i più giovani, come detto in precedenza. Serve stare attenti.

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