Piovono querele per Klaus Davi, chiesti 150 mila euro di risarcimento

La lista delle querele nei riguardi di Klaus Davi da parte di soggetti contigui alla mafia calabrese è molto lunga

Gli ultimi due in ordine di tempo sono stati Demetrio Lo Giudice (indicato dalla DDA di Reggio Calabria come boss vicino al clan Tegano) e Angelo Tutino, nipote di Peppino Pesce detto ‘Unghia’.

Ma la lista delle querele negli ultimi quattro anni nei riguardi del giornalista e massmediologo Klaus Davi, difeso dall’avvocato Francesco De Luca del foro di Vibo Valentia, da parte di soggetti contigui alla mafia calabrese è molto lunga. Alcune sono state presentate in sede penale, altre in forma di risarcimento civile.

Vi spiccano brand della ‘ndrangheta come quello di Giovanni Tegano, Pietro Labate, Rosa Errigo De Stefano, Mimmo Foti, Diego ed Emanuele Mancuso, Rosa Crea, Giuseppina Rodà e molti altri disseminati per la penisola.

Calcolando complessivamente le richieste di risarcimento ventilate in 4 anni (escluse le spese legali) si arriva alla cifra di 150 mila euro. Va detto che alcuni di questi procedimenti sono già stati archiviati dai tribunali, in altri casi le indagini sono state prorogate dopo l’opposizione alla richiesta di archiviazione, come avvenuto con Tutino e Foti.

Nel caso specifico di Angelo Tutino, nipote di Peppino Pesce boss di Rosarno, la querela presso la Procura di Palmi è per diffamazione. Il nipote di Pesce, ben noto alle forze dell’ordine per precedenti indagini penali anche di spessore e che negli anni novanta fu mandato al soggiorno obbligato per una condanna per associazione di stampo mafioso mentre nel 2005 è stato indagato e rinviato a giudizio per una serie di truffe contro lo Stato e l’Unione Europea, ha ravvisato negli articoli del massmediologo elementi ‘offensivi della sua onorabilità’.

Nel caso di Demetrio Lo Giudice, il boss si è sentito offeso dalle inchieste di Davi sulle infiltrazioni nelle società di pulizie che forniscono servizi a Trenitalia.

«Sarebbe interessante capire questa massiccia sterzata verso la legalità dei brand della ‘ndrangheta. La trovo inquietante. Però bisogna ammettere che, paradossalmente, queste querele mettono in luce il lavoro dei giornalisti, a differenza di uno Stato sonnacchioso e spesso assente, particolarmente in Calabria…», ha commentato Klaus Davi.