“Come un granello di sabbia”, va in scena una storia di ingiustizia a Mendicino


Domani sera, sabato 28 ottobre, alle 21,00, al teatro comunale di Mendicino va in scena “Come un granello di sabbia. Giuseppe Gulotta, storia di un innocente”, testo e regia di Salvatore Arena e Massimo Barilla, con Salvatore Arena. È una coproduzione “Mana Chuma Teatro”, “Fondazione Horcynus Orca” e “Horcynus Festival ‘15”, in collaborazione con “La.P.E.C.” e “Giusto Processo”, con il sostegno del Comune e della Provincia di Reggio Calabria ed il Comune di Bova. È un appuntamento del progetto “Diteca”, Distribuzione Teatro Nord Calabria, direttori artistici Dante de Rose e Marco Silani, gestito dalla Compagnia Teatro della Ginestra e sostenuto dalla Regione Calabria con fondi PAC Calabria 2007/2013 – Iniziative Culturali 2016 – Azione 2. La storia. A diciotto anni, Giuseppe Gulotta, giovane muratore con una vita come tante, viene arrestato e costretto a confessare l’omicidio di due carabinieri ad “Alkamar”,una piccola caserma in provincia di Trapani.

Il delitto nasconde un mistero indicibile: servizi segreti e uomini dello Stato che trattano con gruppi neofascisti, traffici di armi e droga. Per far calare il silenzio serve un capro espiatorio, uno qualsiasi. Gulotta ha vissuto ventidue anni in carcere da innocente e trentasei anni di calvario con la giustizia. Non è mai fuggito, ha lottato a testa alta, restando lì come un granello di sabbia all’interno di un enorme ingranaggio. Fino al processo di revisione (il decimo, di una lunga serie), ostinatamente cercato e ottenuto, che lo ha definitivamente riabilitato.

Lo spettacolo. Una storia dai contorni oscuri e tormentati, dalle conseguenze violentemente drammatiche e non risanabili. Per quello che Giuseppe Gulotta ha vissuto, protagonista suo malgrado di questo itinerario, ma anche per le altre varie vittime della vicenda, affrontare questi avvenimenti sulle tavole di un palcoscenico pone di fronte ad una grande responsabilità. La responsabilità, certo, di non tacere l’incredibile vicenda legale, la lunghissima serie di omissioni, errori, leggerezze, falsificazioni, palesi violazioni della legge che oggi ci fanno definire questa vicenda come una vera e propria frode giudiziaria.

La responsabilità, naturalmente, di non dimenticare il contesto e gli interessi in campo che generano il dramma. Ma principalmente la responsabilità di declinare la drammaturgia, attraverso la vicenda umana di Giuseppe (ma anche di Salvatore e Carmine – le due vittime della strage – o di Giovanni, Vincenzo, Gaetano – gli altri capri espiatori designati) rendendo giustizia alla sua dimensione personale, quella di una vita quasi interamente sottratta per ragioni inconfessabili. Provare ad innescare un processo di identificazione, pur senza aver attraversato quello che lui ha attraversato, senza aver sofferto quello che lui ha sofferto con un incredibile senso di dignità e consapevolezza. Provare a compiere questo corto circuito narrativo riuscendo a sottrarsi a qualsiasi intento retorico.

La voce di Giuseppe ci attira in questo vortice raccontando, come trovasse per la prima volta qualcuno disposto ad ascoltare, la gioventù interrotta, l’arresto, le torture, i colpevoli silenzi, i pregiudizi, ma anche l’irriducibile cocciuta speranza in un restituzione finale della propria umile e alta identità. Lo fa alternandosi a voci secondarie, ma necessarie: un vicequestore illuminato schiacciato anche lui dall’ingranaggio, l’ufficiale dell’arma regista occulto delle torture (un Kurz rovesciato, lucido e per nulla tormentato), la moglie Michela, i genitori.

Ogni voce, ogni episodio del vortice, trova il proprio luogo all’interno della scenografia, leggera e opprimente ad un tempo, di Aldo Zucco, capace di diventare multiforme nei suoi pochi, ma importanti segni. Le musiche originali di Luigi Polimeni, contrappunto ritmico ed emozionale al racconto, diventano esse stesse drammaturgia, sostenendo lo scorrere inesorabile della storia in tutte le sue partiture emotive. Il disegno luci dello spettacolo è di Stefano Barbagallo; equipe tecnica di scenografia Antonino Alessi, Grazia Bono, Caterina Morano; assistente alla regia Ylenia Zindato; consulenza storica Giuseppe Gulotta e Nicola Biondo; autori del libro “Alkamar-la mia vita in carcere da innocente” (ed. Chiarelettere). Dicevamo che lo spettacolo rientra nel progetto Diteca nord, che “ha l’obiettivo – dice Dante de Rose – di realizzare un circuito teatrale nell’area nord della Calabria che coincide con la provincia di Cosenza.

Oltre a realizzare l’obiettivo base, le priorità di ‘Diteca’ sono quelle di far incontrare compagnie professionali calabresi con le comunità dove non sempre è presente una programmazione teatrale, creare un indotto economico attraverso la distribuzione delle risorse alle compagnie locali – in modo da favorire una continuità produttiva e artistica – e alle comunità che potranno ridurre i costi delle loro programmazioni. Il progetto è stato pensato come strumento integrativo della politica culturale sui territori. L’azione di ‘Diteca’ – conclude de Rose – si caratterizza per la varietà dei linguaggi, il sostegno a nuovi organismi, la riscoperta delle tradizioni e vocazioni dei territori, la presenza di sensibilità all’interno del mondo della scuola e del disagio sociale”.

Alessandro Noce

locandina mendicino